implicito- esplicito

E’ proprio vero che la comunicazione verbale è come la punta di un iceberg? e che la maggior parte della comunicazione avviene nella dimensione implicita? Spesso si dice così, ma non è poi tanto chiaro cosa voglia dire. Se l’implicito non viene capito? Ma la comunicazione non è anche rendere esplicito quello che è implicito? Cosa non funziona quando l’implicito non viene capito? Cosa occorre fare? Come trovare un buon equilibrio tra implicito ed esplicito? Cosa regola questo equilibrio? Cosa ne pensate?
(ovviamente il caso è la discussione sul commento a “Natale”).

6 pensieri su “implicito- esplicito

  1. Credo e sono d’accordo nell’affermare che la comunicazione verbale altro non sia che un tentativo di rendere esplicita una volontà del parlante, ossia ciò che viene chiamato “implicito”.
    Le parole sono, in quest’ottica, un semplice mezzo espressivo di cui una persona si serve per creare e dare un senso a tale volontà. Che questi segni talvolta non vengano combinati in modo corretto ed efficiente è un problema che riguarda la stessa natura della comunicazione e, a mio avviso, ne è il limite. Il pittore che si serve della tela o il musicista che combina, attraverso delle regole armoniche, le note, si serve di un mezzo concreto per esprimere qualcosa che probabilmente riesce solamente a intuire. Questo è forse il paradosso della comunicazione: la presunzione di tradurre con i mezzi della lingua umana (con tutti i limiti che comporta) concetti che spesso ne trascendono la natura stessa. La grandezza di alcuni poeti, pittori e musicisti è, a mio avviso, proprio la capacità di annullare le barriere che separano il mondo concreto da quello pensato. Mi rendo conto che tale affermazione presupponga l’esistenza di diversi livelli di coscienza, ma non ritengo opportuno addentrarmi in campi di conoscenza che non mi appartengono.
    Ovviamente tale pensiero va un pochino oltre la conversazione di Natale.
    Che ne pensate?

  2. Il problema è secondo me nel non dare di solito troppa importanza alle attese del ricevente un nostro messaggio. Quando entriamo nello studio di un docente diamo per scontato che condivida le nostre conoscenze di fondo, o almeno, io lo faccio sempre e anche molti studenti che conosco. Non è facile ricordarsi che probabilmente il docente vede tutti i giorni molti studenti e tutti con un contesto personale diverso, con un storia diversa, con un problema diverso. In questo caso la dimenticanza del prof. ha reso fuori contesto tutto ciò che la studentessa febbricitante ha dato per implicito. Certo è difficile pensare a un persona che sbaglia su cose come “che giorno è oggi”, io sono uno che lo fa spesso e infatti ho bisogno di continui pro-memoria. Sono d’accordo sul discorso dei grandi artisti, però anche li le aspetttive del fruitore sono fondamentali. Intanto perchè per entrare un contatto con un prodotto artistico, qualunque esso sia, bisogna riuscire come minimo a capire in che linguaggio comunica, quali sono i segni da seguire, siano essi le parole, le figure o le note. Questo richiede a volte uno sforzo cognitivo minimo, a volte una preparazione complessa. Di solito chi segue l’arte sa cosa cercare, quali sono i suoi gusti, il suo range d’azione.

  3. Van Gogh vendette un solo quadro nel corso della sua vita, Gaudì morì in completa solitudine travolto da un autobus davanti alla Sagrada Familia e Foscolo morì in esilio e in gravi condizioni economiche.
    Potrei continuare con decine di altri esempi.
    Mi sembra che non sempre le persone vengano comprese.
    Si perde un sacco di tempo a spiegare cosa è stato detto, come è stato detto e quando. Ma i nostri giornali sono pieni di informazioni non dette, le conversazioni quotidiane sono piene di omissioni (non è vero che una notizia omessa è una bugia? e non è vero che una bugia viola la massima della qualità di Grice?) e gli artisti non vengono compresi.
    Forse bisognerebbe istutuire un corso di “teoria dell’incomunicabilità” per rendersi conto che nella maggior parte dei casi le persone passano una vita a tentare di spiegarsi, spesso senza riuscirci.
    Spero di essermi spiegata…

  4. Sono fondamentalmente d’accordo. Certo che gli artisti non hanno, quando omettono, l’intenzione di mentire, se omettono è prorpio per comunicare qualcosa. I grandi artisti possono morire in miseria perchè di solito, più che seguire il gusto o la moda ,sono quelli che la determinano. Vengono compresi (e fruiti) solo dopo.

  5. Ritorno all’inizio del primo commento: per “Implicito” non si intende semplicemente la “volontà del parlante” che l’espressione verbale renderebbe esplicita. Cosa sarebbe questa “volontà” misteriosa? [E il musicista che scrive le note non è che rende esplicita una misteriosa cosa che riesce solo a intuire: pensa quei suoni o no? Wittgenstein parlava di pensiero musicale come di un tipo di pensiero diverso dal pensiero linguistico; ma non voglio entrare in questo] Se è volontà di farsi capire, ci sarà qualcosa da far capire, un contenuto. Ma non è questo l’implicito; il contenuto è quanto si vuole comunicare; l’implicito è tutto quanto si dà per scontato per far capire quel contenuto. Se si dà per scontato troppo, il contenuto non viene capito. Forse (anche) per questo Foscolo non era capito? Ometteva perché era stufo di ridire le cose che dava per scontato. Ma non tutti quello che lo leggevano riuscivano a darle per scontato quello che dava per scontato lui.

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