Nel dibattito acceso sul “Decreto Romani” sulla regolamentazione dei mezzi audiovisivi (vedi testo pdf) (vedi anche) è emersa una buona argomentazione di Dario Denni, segretario dell’associazione italiana degli internet provider, a proposito di aspetti del decreto che porterebbero a ritenere responsabili i provider sui contenuti immessi dagli utenti anche su siti come youtube:
“E’ come ritenere l’azienda che si occupa della manutenzione delle autostrade responsabile per quello che fanno coloro che guidano le automobili.”
L’argomentazione usa la ricerca del controesempio: prendi un ragionamento che appare convincente e fai un controesempio che è palesemente errato. Se mettete la frase per intero in un motore di ricerca avrete almeno due pagine che riportano l’intera frase, che conclude con “non ha senso“. Ha senso o no?
(1) ha senso, perché una legge è fatta spesso per favorire qualcosa a danno di qualcos’altro, e questo è il senso apparente e da molti riconosciuto delle legge in questione [v.anche]).
(2) non ha senso perché i provider (Telecom, Fastweb,Vodaphone, ecc.) non hanno alcun controllo su quanto accade su youtube, google, ecc. eppure dovrebbero pagare multe per infrazione di diritti d’autore.
A difesa di se stesso l’autore: “Si precisa inoltre che, contrariamente a quanto pretestuosamente dichiarato, il decreto non intende censurare il diritto di informazione in rete e tantomeno incidere sulla possibilità di manifestare le proprie idee e opinioni attraverso blog, social network, ecc. da parte degli utenti della rete. Il decreto, peraltro non si occupa neanche delle versioni elettroniche dei quotidiani o delle riviste. Tutte queste tipologie di utilizzo della rete non sono soggette ad alcuna forma di autorizzazione, prevista peraltro come semplice dichiarazione di inizio attività per i soggetti che effettivamente, attraverso internet, svolgono nei fatti un’attività assimilabile a quella televisiva”
Cioè a dire “tanto rumore per nulla”? O nell’autodifesa c’è un trucco nascosto? (si noti che non si parla di video postati su youtube o su Google)
Quando si è diffusa la stampa è forse successo che gli amanuensi dei conventi volessero colpire violentemente chi stampa libri in più copie per lesa maestà? Il diritto di riproduzione va regolamentato, ma farlo con metodi da amanuensi ribelli alla diffusione della stampa è, ammettiamolo, un po’ ridicolo. Non c’è limite al peggio, ma anche Google ha smesso di filtrare i contenuti del suo motore di ricerca in Cina. Imitare la Cina comunista (ma vedi anche a proposito di google in Cina) non produrrà grandi effetti, almeno finché l’Italia resta connessa a un’Europa tecnologica e democratica.
P.S. 14.12.2010 – Il legame tra strategia dell’Italia e la possibile censura in Cina è stato rilevato dall’ambasciatore US in Italia David Thorne nei suoi messaggi riservati, rivelati da Wikileaks. Non ci voleva molta fantasia: vedi Documento wikileaks.