Israele-Palestina: stop al massacro

Sono passati cinque giorni dall’uccisione del capo militare di Hamas Jaabari e dalla ripresa del conflitto israeliano-palestinese. La guerra fra Tel Aviv e Gaza continua da oltre sessanta anni e non ha mai vissuto tregue significative. Tuttavia, ciò che richiama l’attenzione di tutto il mondo sui nuovi scontri in Medio Oriente è il nuovo contesto in cui si stanno dispiegando: la rielezione di Obama a presidente degli Stati Uniti d’America e la posizione assunta dall’Iran nei confronti degli Usa e di Hamas.

Obama si è già proferito in merito agli scontri in Medio Oriente, sostenendo il diritto di Israele a difendere la propria popolazione:«Coloro che hanno a cuore la causa dei palestinesi […] dovrebbero riconoscere che se si assiste a un’ulteriore escalation della tensione a Gaza, le possibilità di tornare su un sentiero di pace che sfoci sulla soluzione dei due Stati verranno allontanate in un futuro sempre più distante». Il sostegno americano nei confronti di Israele è fondamentale, in quanto costituisce uno dei fattori che lo rendono una delle potenze militari più forti al mondo1.

Il fattore Obama è ripreso da Zucconi nel suo articolo “Obiettivo Teheran”, pubblicato su Repubblica questa mattina, in cui è stata sollevata la questione Iran: Netanyahu vuole mettere alla prova l’affidabilità degli Stati Uniti come alleato, nel caso in cui si decidesse di fare fronte comune contro “l’Iran nucleare”2. L’ammonimento all’Iran è menzionato anche dallo scrittore israeliano Etgar Keret, che lo indica come una delle ragioni degli attacchi militari in un’intervista rilasciata allo stesso Repubblica 3.

Per quanto concerne il blocco palestinese, Hamas punta a rafforzare la sua alleanza con l’Egitto e altre forze del mondo arabo4.

Ma mentre i grandi del pianeta si alleano tra di loro, il popolo palestinese si ritrova solo, indifeso di fronte alla potenza militare dello stato di Israele.

Nell’editoriale di Le Monde del 15 novembre si traccia il “tragico scenario” che seguirà questa ondata di violenza: la vittoria sarà quella del governo di Netanyahu, che sarà raggiunta solo al prezzo di un numero cospicuo di morti palestinesi. Ciò nonostante, il successo israeliano avrà vita breve, in quanto Hamas ne uscirà rinvigorita, come ci insegna la vittoria islamica del 2006. Le Monde sottolinea inoltre l’incapacità dei due fronti di scendere a patti, nonché l’inesistenza di un mediatore internazionale disposto a mettersi in gioco in questo conflitto5.

Tuttavia, la volontà di scendere a compromessi con uno stato come quello israeliano, che sta decimando la popolazione palestinese di giorno in giorno senza distinzione alcuna tra obiettivi militari e civili, rende impossibile l’opzione del dialogo. La Striscia di Gaza è una delle aree con la maggiore densità di popolazione al mondo. I suoi abitanti sono costituiti per metà da cittadini sotto i 15 anni, ossia dalla stessa fetta di popolazione che subisce indifesa i conflitti armati6. Christophe Deloire, segretario di “Reporter senza frontiere”, ha denunciato gli attacchi contro obiettivi civili, definendoli “crimini di guerra” che violano la Convenzione di Ginevra»7.

La popolazione mondiale sta mostrando in questi giorni solidarietà nei confronti dei civili palestinesi che non riconoscono questa guerra e chiedono solamente di porre fine allo sterminio.

 

FONTI:

1Rampini, Federico (2012), “Obama frena Netanyahu: “No all’attacco di terra”, La Repubblica, 19 novembre.

2Zucconi, Vittorio (2012), “Obiettivo Teheran”, La Repubblica, 19 novembre.

3Castelletti, Rosalba (2012), “Nessuno vuole davvero la pace, ci sono in gioco troppi interessi”, La Repubblica, 19 novembre.

4Rudoren, Jodi e Akram, Fares (2012), “Bolder Hamas Tests Alliances in a Shifting Arab World”, International Herald Tribune, 15 novembre.

5“Tragique scénario à Gaza”, Le Monde, 15 novembre 2012.

6Scuto, Fabio (2012), ʻNell’ospedale di Gaza tra i bambini straziati dalle bombe “Fate la guerra lontano da noi”ʼ, La Repubblica, 19 novembre.

7“Due missili su Tel Aviv. Nella Striscia distrutto il palazzo delle televisioni”, La Repubblica, 19 novembre 2012.

Prada: A Therapy

Prima di parlarvi del pubblicitario forse più famoso del mondo e della pubblicità, definita ancora oggi, come una delle più belle in assoluto, vorrei proporvi uno degli ultimi spot che ho guardato con più interesse. Conviene prima vedere il video, è veramente interessante.

Come avrete capito lo spot è per Prada e più che uno spot è un vero e proprio piccolo film. Il regista è Roman Polanski che l’ha presentato, a sorpresa, al Festival di Cannes 2012 prima della proiezione di “Tess”, un suo lungometraggio restaurato. Gli attori sono due personaggi d’eccezione: Helena Bonham Carter e Ben Kingsley, insomma due attoroni per uno spot.
Trovo che il linguaggio di questo corto sia particolare:i due protagonisti non si salutano a voce all’inizio della seduta, lui proprio non dice mai una parola, lei si, racconta un sogno che ha fatto, ma quasi subito l’inquadratura cambia e la voce della ricca signora passa in secondo piano: non ci interessa molto quello che dice e cerchiamo di capire cosa distrae così tanto l’attenzione di un dottore, a prima vista, serio e composto. L’atmosfera, l’ambiente, la musica la bravura di Polanski e di Kinsley ci rendono partecipi di questo film più che le parole dette. Trovo, inoltre, che, come del resto quasi tutti i grandi film, lasci a seconda di chi lo vede esperienze e conclusioni diverse. Io, ad esempio, ho visto per la prima volta questa pubblicità su suggerimento e con una terapeuta e la sua visione, oltre che certamente molto più approfondita, era leggermente diversa dalla mia. Dopotutto “Prada suits everyone”, recita il pay-off. “Prada sta bene a tutti” che tu sia una ricca signora (e questo ce lo possiamo anche aspettare) o un uomo o un serio terapista freudiano, di quelli che sanno sempre chi suona al campanello, non perché hanno gli appuntamenti segnati sull’agenda o perché hanno il videocitofono, ma perché la terapia impone che lo stesso paziente vada alla seduta, magari per 20 anni, lo stesso giorno della settimana alla stessa identica ora. Una rigidità scalzata: non si può resistere alla tentazione di provarsi un capo Prada. Lui, lo stereotipo di psichiatra freudiano, cede alle sue pulsioni. Figuriamoci noi.

Gavagai!

 Una volta scoperte le case piccole e la casa grande di un gruppo umano “nuovo” di cui si sa pochissimo, che fare?   Sono circa 2000 umani che vivono nell’Amazzonia tra Perù e Brasile e rischiano l’invasione dei cercatori d’oro e petrolio. Sono probabilmente della famiglia dei Korubo, contattati per la prima volta nel 1996 (vedi video). Gli esperti sono preoccupati e Jose Carlos Meirelle, che appartiene a un gruppo di ricercatori sulla situazione di indigeni locali dice (a un corrispondente di Al Jazeera):

“The destiny of these (uncontacted tribes) is not in their hands, it’s in our hands. Their future existence depends on us, and what the government of Brazil and Peru are going to do with the Amazon region. If we don’t protect it, these people will soon be gone, and the world will be a sad place.”

Proteggere il gruppo da chi? Dagli sfruttatori di ogni tipo, sicuramente. Chissà se Mirella ha pensato anche a come fermare gli antropologi o ancor peggio i filosofi che vorrebbero correre subito là e iniziare a domandare: “Gavagai?”. Di certo nel primo video (incontro con i korubo del 1996) c’è un cenno di assenso nel riconoscere la parola “miglio” di fronte alla percezione del miglio. Ma chi ha detto “miglio” era uno della spedizione, non il nativo. Troppa confusione in una spedizione per rispettare i dati puri dell’esperimento “mentale” di Quine.

Vedi il video di questa incredibile scoperta.

Non siamo soli, e – purtoppo per loro? – nemmeno loro sono soli: hanno noi, i “civilizzati”!

gesti universali?

In effetti abbiamo per lo più due braccia, due mani, una testa e siamo piuttosto simili. Non è difficile trovare gesti che si richiamano tra loro nelle diverse civiltà e culture del mondo. Universali? Andiamo piano…

Qualche antropologo dice che il gesto di puntare con il dito è tipico    delle società occidentali, e non è “innato” (di certo le scimmie non lo    hanno, anche se ne hanno di simili).Un po’ di lavoro per gli  antropologi che possono iniziare a riflettere sulla similarità della  tradizione pittorica occidentale con la crisi di Wall Street (la cacciata  dal Paradiso della Banca Felice)

sopra la coppia di figure prese da Le Journal di Unige (n.29) e sotto esempio analogo di disperazione per la caduta della borsa e un esempio di gesto di indicazione di bambino (già acculturato) e gesto anonimo di primate…