Esempio di fallimento nella comunicazione

Ci tengo a postare questo simpatico video in quanto ritengo rappresenti un chiaro esempio di fallimento nella comunicazione tra due persone. Il video in questione è stato realizzato come messaggio pubblicitario per l’azienda di automobili ‘Mercedes-Benz’. Situazione: una ragazza bionda entra in un locale e dice alla signora che si trova dietro al banco della reception: “Salve, vorrei ordinare patatine fritte, un hamburger e un milkshake”. La signora alla reception risponde con voce seccata guardando la ragazza con aria esterrefatta: “Questa è una biblioteca”; a quel punto la ragazza bionda si guarda intorno e nota che effettivamente c’è gente concentrata nella lettura. Dopo qualche secondo ritorna con lo sguardo verso la signora dietro al banco della reception, facendo la stessa richiesta precendente, ma stavolta parlando sottovoce. Qual è l’analisi pragmatica che ne potrebbe venire fuori? La signora alla reception, alla richiesta della ragazza bionda, risponde in maniera evasiva e implicita. Dicendo infatti ‘questa è una biblioteca’, il messaggio implicito reale che la ragazza bionda avrebbe dovuto inferire, sarebbe stato quello secondo il quale nelle biblioteche non si vende cibo da fast food, pertanto, la ragazza avrebbe dovuto andare a cercare un luogo idoneo a soddisfare le sue richieste, ovvero un fast food. La ragazza, tuttavia, crede che il problema sia il tono della sua voce anzichè la stranezza della sua richiesta, compiendo pertanto un tipo di inferenza errata, rendendo fallimentare la comunicazione tra le due.

norme semplici

Discorso del presidente del Consiglio al luglio 2013 all’Agenzia delle Entrate; in poche parole occorre che chi evade riporti i soldi in Italia e paghi le tasse. Se fosse uno slogan sarebbe il solito “pagare meno pagare tutti”. Forse una grossa novità rispetto ai vecchi proclami sulle tasse esagerate. Ma la cosa più interessante è uno strano contorcimento lessicale sulla necessità della semplificazione. Tutti sanno che l’Italia ha un numero spropositato di leggi, che la complicazione burocratica sta uccidendo ogni prospettiva di lavoro, allontana le industrie estere, affatica inutilmente gli enti pubblici (che ormai passano la maggior parte del loro tempo e utilizzano la maggior parte delle loro risorse ad adempiere a compiti burocratici sempre più complessi e – per molti – sempre più inutili – vedi post precedente). Cosa dice il presidente del Consiglio sulla semplificazione burocratica?

“È anche colpa del governo, perché servono norme semplici. Per questo noi dobbiamo essere in grado di dare norme semplici per tutti.”

Incomprensibile.
(1) La prima frase dà adito a  un’IMPLICATURA: “è anche colpa del governo perché servono norme semplici” sembra un modo contorto per far capire che il governo non è stato in grado di fare norme semplici e ha fatto norme complicate.
(2) la seconda frase sembra quasi una tautologia: dato che servono norme semplici dobbiamo essere in gradi di dare norme semplici *per tutti”. (forse l’implicatura qui è che *per alcuni* esistono norme semplici. Quelli che bypassano ogni norma e fanno i fatti loro). Ma qual’è il contenuto informativo di questa frase? Forse il contenuto informativo è la sua  PRESUPPOSIZIONE. Infatti dire “dobbiamo essere in grado di dare norme semplici”  presuppone che “il governo non è ancora in grado di dare norme semplici“. E la domanda che un cittadino dovrebbe porsi è: perché un governo non è in grado di dare norme semplici? Magari è in grado di “farle”, ma non di “darle”, perché…

anche il governo, ogni volta che propone qualcosa, deve passare sotto le forche caudine degli uffici legali e ogni proposta di semplificazione viene distrutta dal tritacarne delle abitudini inveterate degli amministratori italiani a creare regolamenti sempre più complicati

[Uno statuto e un regolamento da me scritti per un Consorzio di Dottorato, dopo essere passati per gli “uffici” specializzati, hanno più che raddoppiato gli articoli e i commi  e sono diventati così complicati che non so più nemmeno se sarei in grado di applicarli]

La vulgata dice che in Inghilterra vi sono 3.000 leggi, in Germania 5.000 in Francia 7.000 e in Italia 200.000. Paragoni non fattibili per la differenza di sistema legale. Sabino Cassese (ministro del governo Ciampi) aveva elencato circa 150.000 leggi italiane nel 1993; Bassanini parlava di 50.000. Ma il numero delle leggi è solo un sintomo della malattia Italia: la malattia si chiama “complicazione burocratica”, un fenomeno che di anno in anno aumenta, coadiuvato dalle nuove possibilità offerte dall’informatica. Una pacchia per i burocrati e la morte civile per tutti quelli che devono eseguire i compiti più umilianti e indecorosi che possano essere attribuiti a un essere umano attaccato a un computer a computare quotidianamente inutili certificazioni che avrebbero lo scopo di semplificare, certificare, chiarire, fungere da anti-corruzione. Perché umiliante? Perché chiunque svolga questo inutilissimo lavoro, i cui dettagli farebbero inorridire una persona normale e sarebbe offensivo presentarli per scritto, sa  benissimo che i corruttori e i corrotti in grande stile hanno schiere di burocrati lautamente pagati che li mettono al riparo da ogni critica usando esattamente gli strumenti burocratici creati illusoriamente per ostacolarli.

Dante riassumerebbe la sua invettiva contro l’Italia nel 6 canto del Purgatorio più o meno così: O Italia asservita alla burocrazia, luogo di sofferenza a causa della burocrazia, priva di un governo autorevole capace di ribellarsi alla burocrazia, e in balia di una tempesta informatica provocata dall’uso indecente della ITC per assurdi scopi burocratici, non più padrona di ampi territori del pensiero, ma casino di leggi, leggine, regolamenti, restrizioni, impedimenti che bloccano o rendono faticosissima ogni attività produttiva. OK Dante sapeva riassumere  tutto ciò in poche e vive parole, ma il punto oggi è sempre quello.

Logica: impara il principio di contrapposizione (p–>q)–>(-q –> -p)

Leggo un riferimento a intervista al tg5 di martedì 7: “dal secondo grado del processo Mediaset mi aspetto un’assoluzione totale perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, se i giudici saranno integerrimi, ecc. ecc.”

In poche parole: se i giudici sono integerrimi, allora x viene assolto (p -> q)
[la cosa è più sottile: x si aspetta che x venga assolto” – è il punto di vista di x, ma questo rafforza l’aspetto retorico: x si aspetta, come chiunque cittadino x  innocente si aspetta che q]

ora il principio di contrapposizione è uno dei principi o regole logiche più semplici e intuitive, utile in matematica e nel linguaggio comune:

(p -> q) -> (non q -> non p)

(se i giudici sono integerrimi -> x viene  assolto) -> (x non viene assolto -> i giudici non sono integerrimi)

è fatta! Gli italiani, che sanno ragionare come tutti gli umani (siamo animali inferenziali) si convinceranno, avendo assunto (p -> q), di quanto vale per contrapposizione:  se x non viene assolto, allora i giudici non sono integerrimi (di fatto è l’argomento che prosegue nell’intervista, con una chiara esplicitazione della legge di contrapposizione).

Comunque x usa, ed anche aiuta a capire le leggi logiche e il loro effetto pragmatico.  L’effetto pragmatico della legge di contrapposizione è molto forte: le assunzioni dubbie quasi spariscono di forze alla forza del ragionamento logico logica. Il problema è che la regola di contrapposizione dice che SE (p -> q) ALLORA (non q -> non p). Cioè assume che sia VERO che se i giudici sono integerrimi allora x sarà assolto. Ma è vero che p ->q?

E’ questo il problema, come nel dilemma del venditore. La premessa non è giustificata, se non da una  presupposizione: “x è innocente”. Non è un dato secondario. Molte persone accusate di qualcosa si dichiarano innocenti. Per questo esistono “nozze, tribunali e are” che fecero le umane genti “esser pietose di se stesse e d’altrui”. Per evitare l’identificazione di “credo che p” con “p”. E’ questo il tentativo di evitare la legge della giungla.

muraglia, libro della canaglia

Una volta si diceva “muraglia, libro della canaglia”. Ora la muraglia è il web, perché vi possono scrivere tutti (o quasi). Ma sul web scrivono anche esperti, intellettuali e studiosi. Questa è la differenza. Un tempo un esperto, un intellettuale o un serio studioso  scriveva sui libri e sui giornali. Anche ora, ma scrive anche sul web. Ed è difficile distinguere le riflessioni intelligenti e ragionate dagli sfoghi di pelle (che fanno comunque parte del gioco) e da chi echeggia quello che dicono gli altri senza averlo pensato lui, ma solo perché lo slogan è buono (come non perdere l’occasione di un buon slogan?). Ed è pieno di buoni slogan! Prendo questo:

Anche le navi trasportano schiavi, ma nessuno propone di abolire il mare #boldrini

Bellissimo. Da qui si può derivare – per implicatura –  che  #boldrini abbia  proposto di abolire il web o di restringere la libertà sul web. Vi sono già leggi specifiche (sulla pedopornografia, sulla diffamazione, ecc.) e pare strano che questa sia la proposta. In effetti il punto di Boldrini è sulla violenza alle donne. Ma le sue parole, poste nell’arena pubblica, hanno dato adito a diverse implicature. Volute? Non volute? A porre domande sul web ci si espone ovviamente  ai “nuovi censori”, che colgono ogni occasione per denunciare i complotti alla libertà sul web. Le ribellioni del “popolo del web” (cioé, ormai, quasi tutti) hanno aiutato a capire la demenza di alcune proposte di leggere (c’era chi voleva “chiudere” facebook o qualsiasi sito non eliminasse immediatamente una foto ‘scomoda’, ecc.).

Ma Boldrini pone un problema:

“Mi domando se sia giusto che una minaccia di morte che avviene in forma diretta, o attraverso una scritta sul muro sia considerata in modo diverso dalla stessa minaccia via web. Me lo domando, chiedo che si apra una discussione serena e seria. Se il web è vita reale, e lo è, se produce effetti reali, e li produce, allora non possiamo più considerare meno rilevante quel che accade in Rete rispetto a quel che succede per strada”. [per molti è la scoperta dell’acqua calda, ma non per tutti]

Qual’è il problema: è vero o è falso che in rete c’è “una cultura della minaccia tollerata e giudicata tutt’al più, come certi hanno scritto, una “burla”? (non so cosa è stato descritto “burla“, ma una foto di una ragazza nuda sulla spiaggia con la faccia di Boldrini a me pare un burla; una minaccia di morte o stupro con tanto di fotomontaggio è già un po’ meno burla; se non si fanno distinzioni si arriva alla narcosi della ragione che spesso aleggia nel web).

Sono domande sensate, che riguardano la cultura italiana (ovvio, non solo italiana). Da queste domande segue che occorre abolire il web? o filtrarlo alla radice come in Cina? A me non sembra.

Ci sono problemi più urgenti? C’è sempre un problema più urgente, ma la violenza sulle donne e l’aumentare degli assassinii di donne in Italia non è un problema urgente? E il risorgere del razzismo in Italia non è un problema urgente? La campagna diffamatoria contro Boldrini è partita dopo la sua visita alla comunità ebraica e la sua richiesta di punire l’odio razziale sul web. Ma odio razziale e odio per le donne sono aspetti spesso strettamente legati (non solo perché si parla di “odio”, ma perché si usano stereotipi come denunce di inferiorità: “gli ebrei”, “i neri”, “le donne” come  razze inferiori.
Ecco le parole che potrebbero “incriminare” la Boldrini:

“”[fare denunce di singoli casi di minaccia di morte in rete]… è come svuotare il mare con un bicchiere. Credo che ci dobbiamo tutti fermare un momento e domandarci due cose: se vogliamo dare battaglia – una battaglia culturale – alle aggressioni alle donne a sfondo sessuale. Se vogliamo cominciare a pensare alla rete come ad un luogo reale, dove persone reali spendono parole reali, esattamente come altrove. Cominciare a pensarci, discuterne quanto si deve, poi prendere delle decisioni misurate, sensate, efficaci. Senza avere paura dei tabù che sono tanti, a destra come a sinistra. La paura paralizza. La politica deve essere coraggiosa, deve agire””

Boldrini parla di “due” problemi: (1) dare battaglia alle aggressioni a sfondo sessuale (2) pensare alla rete come luogo reale, e prendere “decisioni”.

Dal punto (2) si  può inferire che Boldrini voglia prendere “decisioni” di blocco della rete. E’ questo che ha in mente? O altro? Per inferire questo occorrono molte presupposizioni assunte come vere, molte premesse collaterali, che la Boldrini non ha esplicitato. Boldrini ha posto un problema, non una soluzione. Il problema è “non basta dire ‘il web è fatto così’: dobbiamo chiederci quale cultura si sta sviluppando in Italia. Le “decisioni misurate, sensate, efficaci” devono riguardare la violenza sulle donne, l’aggressione a sfondo sessuale. Se questa è fatta in rete non necessariamente è una “burla”. E’ qualcosa che ha conseguenze, e che sta influenzando un’intera generazione. Non riesco a capire cosa possa avere in mente Boldrini, ma una censura alla cinese in Italia non esiste. Siti che incitano alla violenza, al razzismo, al fascismo esistono. Se si chiudono possono trovare  modo di riaprirsi in qualche altro server in giro per il mondo.

La legislazione italiana considera i casi di “calunnia”, “offesa”, “vilipendio”, “oltraggio”, “apologia di fascismo” e altri casi che riguardano l’espressione verbale. Esistono limiti alla libertà di parola? Alla libertà di espressione? E il web è esente da questo o è come quando ci si incontra faccia-faccia?  Questo è il problema posto da Boldrini. E tutti a rispondere in coro: “ma io sono libero di dire quello che voglio e di fare quello che voglio” (sembra la parodia di Guzzanti sulla casa delle libertà). Non mi sembra una risposta adeguata.La legge c’è, la mentalità sessista anche. Boldrini ha peccato di ingenuità, ma legare i problemi (1) e (2), violenza a sfondo sessuale e violenza in rete non è fuori luogo. Non è un problema dei siti sadomaso (liberi di divertirsi come si vuole), ma delle aggressioni dirette e personali.

altri tipi di fraintendimenti

Proprio come nelle insegne dei negozi di Napoli che ci ha mostrato il prof. Penco a lezione, anche nella foto qui sotto sono presenti messaggi ai quali è possibile attribuire un doppio significato o un doppio senso. Si tratta in questo caso, di annunci pubblicati da una parrocchia:

fraintendimenti

Aspirapolvere e horror

Continuando sul tema della pubblicità, ho trovato due spot di aspirapolvere che trovo molto interessanti ed efficaci. Unica pecca, per entrambi, è la lunghezza, che li rende inutilizzabili in televisione.

Il primo è ispirato al film “L’esorcista” e gioca, secondo me, sull’aspettativa del telespettatore. Inizia come un film horror e ci si aspetterebbe che continuasse come tale, ma c’è una sorpresa.

 

 

Anche il secondo potrebbe essere interpretato come un horror, questa volta in computer grafica. Viene sfruttato un punto di vista che non siamo abituati a tenere in considerazione: quello della polvere che viene “eliminata” dall’aspirapolvere.

 

 

Buona visione!

Any given Breakfast

Il mio linguaggio di comunicazione preferito è quello pubblicitario e in questo primo post vorrei iniziare a dare uno spunto su quelle che possono essere le differenze di comunicazione pubblicitarie che le agenzie utilizzano per i giornali, la televisione o per un concorso del settore. La prima pubblicità che vorrei presentarvi non penso sia mai stata trasmessa in televisione (o meglio ne hanno redatta una versione più breve), ha vinto l’Epica Awards del 2008 e dura almeno trenta secondi in più degli spot che siamo abituati a vedere. Ho scelto una pubblicità “di casa nostra”, infatti è stata prodotta dalla Leo Burnett di Milano. Leo Burnett era un pubblicitario, a mio avviso geniale, cui sicuramente dedicherò un successivo post. Per stasera volevo soltanto introdurvi all’argomento in quanto spesso la pubblicità non è vista come una nobile arte, anzi di solito tutto il contrario. Post dopo post spero di farvi conoscere un minimo le storie di uomini (donne devo dire non tante, ma di una donna  sicuramente parlerò,  Mary Wells) che con trenta secondi o con una frase dovevano ottenere dei risultati. E non penso sia una cosa da poco.

Questa pubblicità presuppone di aver visto il film “Ogni maledetta domenica” o almeno la sua parte più famosa, altrimenti, forse, non si può apprezzare appieno. La pubblicità in questione è quasi un breve cortometraggio che ricalca il famoso discorso di Al Pacino, nello spogliatoio della sua squadra, ma fatto da un bambino a una mamma.

La versione classica televisiva è molto diversa e magari qualcuno la ricorderà:

La prima pubblicità è sicuramente molto più accattivante, ma ha anche una struttura più complessa e forse hanno pensato che nel frenetico e talvolta distratto mondo della televisione non avrebbe avuto seguito dal punto di vista delle vendite del prodotto (tralasciando anche la lunghezza) e quindi si è ritenuto opportuno produrne una dal linguaggio più semplice e diretto che arriva “dritto al sodo”.

comunicazione preventiva

Come spiegare la proposta del Governo Monti di togliere 200 milioni alle Università e dare 200 milioni alle scuole private?  Il Ministero ha ironizzato (pelosamente) dicendo che le due cose non sono in relazione tra loro. Una mossa del genere, dato il Governo è stato messo su dalle banche e non dalla cei, sembra essere un tentativo di dire: “noi ci abbiamo provato”. Ci saranno proteste e i fondi alle scuole private saranno diminuiti o stornati alle Università private (che sempre un tipo di “scuola” sono). Non vengono forse i nostri ministri da Università private come la Bocconi, dove i docenti sono pagati con fondi pubblici?

Il problema è che gli annunci di una manovra costituiscono un tipo di comunicazione, o almeno così uno si immagina i discorsi di chi presenta il progetto: vediamo un po’ cosa risponde l’opinione pubblica e rispondiamo con il piano B, che è il piano vero preparato prima. Se poi non si accorgono di niente, tanto meglio: tutto regalato

[P.S. scritto il 5 e caricato oggi; oggi alcuni giornali dicono che il taglio di 200 milioni è stato tagliato; pare resti un fondo per le università private:)]