Esempio di fallimento nella comunicazione

Ci tengo a postare questo simpatico video in quanto ritengo rappresenti un chiaro esempio di fallimento nella comunicazione tra due persone. Il video in questione è stato realizzato come messaggio pubblicitario per l’azienda di automobili ‘Mercedes-Benz’. Situazione: una ragazza bionda entra in un locale e dice alla signora che si trova dietro al banco della reception: “Salve, vorrei ordinare patatine fritte, un hamburger e un milkshake”. La signora alla reception risponde con voce seccata guardando la ragazza con aria esterrefatta: “Questa è una biblioteca”; a quel punto la ragazza bionda si guarda intorno e nota che effettivamente c’è gente concentrata nella lettura. Dopo qualche secondo ritorna con lo sguardo verso la signora dietro al banco della reception, facendo la stessa richiesta precendente, ma stavolta parlando sottovoce. Qual è l’analisi pragmatica che ne potrebbe venire fuori? La signora alla reception, alla richiesta della ragazza bionda, risponde in maniera evasiva e implicita. Dicendo infatti ‘questa è una biblioteca’, il messaggio implicito reale che la ragazza bionda avrebbe dovuto inferire, sarebbe stato quello secondo il quale nelle biblioteche non si vende cibo da fast food, pertanto, la ragazza avrebbe dovuto andare a cercare un luogo idoneo a soddisfare le sue richieste, ovvero un fast food. La ragazza, tuttavia, crede che il problema sia il tono della sua voce anzichè la stranezza della sua richiesta, compiendo pertanto un tipo di inferenza errata, rendendo fallimentare la comunicazione tra le due.

altri tipi di fraintendimenti

Proprio come nelle insegne dei negozi di Napoli che ci ha mostrato il prof. Penco a lezione, anche nella foto qui sotto sono presenti messaggi ai quali è possibile attribuire un doppio significato o un doppio senso. Si tratta in questo caso, di annunci pubblicati da una parrocchia:

fraintendimenti

punteggiatura

Per poter scrivere occorre conoscere la punteggiatura. Con la punteggiatura distinguiamo presupposizioni e implicature e altro. E salviamo, come è noto, le nonne. “ho mangiato nonna” è diverso da “ho mangiato,nonna”.  Continuare a scrivere sul blog, ma anche studiare come si scrive! E ricordate che si scrive in modo diverso da come si parla. Infatti nello scritto manca l’aspetto gestuale, e il tono della voce, aspetti che devono essere resi nella scrittura in diversi modi, primo tra i quali la punteggiatura e non ultimo la presenza del soggetto grammaticale – che spesso rimane solo nella testa di chi pensa! L’abuso di rimandi anaforici (quello, questo, egli,…) fa affaticare chi legge e va contro i principi della comunicazione della teoria della pertinenza.

Quanto segue è tratto dal sito dell’Accademia della Crusca.

La punteggiatura

«Mentre l’inventario dei grafemi e le regole della loro combinazione è stato abbastanza stabile nel corso dei secoli, lo stesso non si può assolutamente dire per la punteggiatura» (Maraschio 1995), ma, al di là dei cambiamenti storici, ora interessa segnalare alcuni tratti dell’uso e delle norme attuali, ricordando peraltro che la punteggiatura riguarda esclusivamente l’organizzazione sintattica del testo scritto.

Il punto (anticamente punto fermo, maggiore, stabile, finale periodo) si usa per indicare una pausa forte che segnali un cambio di argomento o l’aggiunta di informazioni di altro tipo sullo stesso argomento. Si mette in fine di frase o periodo e, se indica uno stacco netto con la frase successiva, dopo il punto si va a capo. Il punto è impiegato anche alla fine delle abbreviazioni (ing., dott.) ed eventualmente al centro di parole contratte (f.lli, gent.mo), ricordando che in una frase che si concluda con una parola abbreviata non si ripete il punto (presero carte, giornali, lettere ecc. Non presero i libri).

«Non è raro, nello scrivere moderno, l’uso del punto fermo dove una volta si sarebbero messi i due punti o anche il punto e virgola. Su ciò non possono darsi regole fisse: il prudente arbitrio dello scrittore giudicherà in ogni caso quel che convenga meglio» (Malagoli 1905: 133).

La virgola (detta nel passato anche piccola verga) indica una pausa breve ed è il segno più versatile, «può infatti agire all’interno della proposizione, ma può anche travalicarne i confini e diventare elemento di organizzazione del periodo nella sua funzione di cesura fra le diverse proposizioni» (Biffi 2002).
-Si usa, o almeno si può usare, la virgola: negli elenchi di nomi o aggettivi, negli incisi (si può omettere, ma se si decide di usarla va sia prima sia dopo l’inciso); dopo un’apposizione o un vocativo e anche prima di quest’ultimo se non è in apertura di frase (Roma, la capitale d’Italia. Non correre, Marco, che cadi). Nel periodo si usa per segnalare frasi coordinate per asindeto (senza congiunzione, es: studiavo poco, non seguivo le lezioni, stavo sempre a spasso, insomma ero davvero svogliato), per separare dalla principale frasi coordinate introdotte da anzi, ma, però, tuttavia e diverse subordinate (relative esplicative, temporali, concessive, ipotetiche, non le completive e le interrogative indirette). Le frasi relative cambiano valore (e senso) a seconda che siano separate o meno con una virgola dalla reggente: gli uomini che credevano in lui lo seguirono cioè ‘lo seguirono solo quelli che credevano in lui’ è una relativa limitativa; gli uomini, che credevano in lui, lo seguirono, ovvero ‘lo seguirono tutti gli uomini perché credevano in lui’, è una relativa esplicativa.
– La virgola non si mette: tra soggetto e verbo (se altre parole si frappongono tra questi due elementi occorre prestare più attenzione); tra verbo e complemento oggetto; tra il verbo essere e l’aggettivo o il nome che lo accompagni nel predicato nominale; tra un nome e il suo aggettivo.

Il punto e virgola (punto acuto, punto coma) segnala una pausa intermedia tra il punto e la virgola e il suo uso spesso dipende da una scelta stilistica personale. Si adopera soprattutto fra proposizioni coordinate complesse e fra enumerazioni complesse e serve a indicare un’interruzione sul piano formale ma non sul piano dei contenuti («il capo gli si intorbidò di stanchezza, di sonno; e rimise la decisione all’indomani mattina», A. Fogazzaro, Piccolo mondo moderno).
[Questo esempio di Fogazzaro non è un buon esempio, perché di solito la “e” non va dopo un punto e virgola, ma dà l’idea; di solito, il punto e virgola si mette quando una frase è troppo lunga ma non cambia di argomento][CP]

due punti (punto addoppiato, doppio, piccolo) avvertono che ciò che segue chiarisce, dimostra o illustra quanto è stato detto prima. Serianni 1989: I 222 riconosce quattro funzioni dei due punti che sembra utile riprendere: sintattico-argomentativa (si introduce la conseguenza logica o l’effetto di un fatto già illustrato); sintattico-descrittiva (si esplicitano i rapporti di un insieme); appositiva (si presenta una frase con valore di apposizione rispetto alla precedente); segmentatrice (si introduce un discorso diretto in combinazione con virgolette e trattini). I due punti introducono anche un discorso diretto (prima di virgolette o lineetta) o un elenco.

Il punto interrogativo (punto domandativo, «che con linea sopra capo… ma tortuosa, si segna», A.M. Salvini, Prose toscane, 1735), si usa alla fine delle interrogative dirette, segnala pausa lunga e l’andamento intonativo ascendente della frase.
Il punto esclamativo (affettuoso, patetico, degli affetti, ammirativo) è impiegato dopo le interiezioni e alla fine di frasi che esprimono stupore, meraviglia o sorpresa; segnala una pausa lunga e l’andamento discendente della frase.
-I punti esclamativo e interrogativo possono essere usati insieme, soprattutto in testi costruiti su un registro brillante, nei fumetti o nella pubblicità.

puntini di sospensione si usano sempre nel numero di tre, per indicare la sospensione del discorso, quindi una pausa più lunga del punto. In filologia, i puntini, posti fra parentesi quadre, servono a segnalare l’omissione di lettere, parole o frasi di un testo riportato (Malagoli 1912 scriveva: «se indicano un’omissione di lettere in una parola, sono tanti i puntini quante le lettere che mancano»).

Il trattino può essere di due tipi: lungo si usa al posto delle virgolette dopo i due punti per introdurre un discorso diretto o, in alternativa a virgole e parentesi tonde, si può usare in un inciso; breve serve invece a segnalare un legame tra parole o parti di parole e compare infatti per segnalare che una parola si spezza per andare a capo, per una relazione tra due termini (il legame A-B), per unire una coppia di aggettivi (un trattato politico-commerciale), di sostantivi (la legge-truffa), di nomi propri (l’asse Roma-Berlino), con prefissi o prefissoidi, se sono composti occasionali (per cui il fronte anti-globalizzazione mal’antifascismo) e infine in parole composte (moto-raduno, socio-linguistica) in cui tendono a prevalere, però, le grafie unite.

La sbarretta serve a indicare l’alternativa tra due possibilità (scelga il mare e/o la montagna) e nelle date è usata al posto del trattino.

L’asterisco si usa per un’omissione (nel numero di tre consecutivi: non voglio parlare di quel ***) o in linguistica per segnalare che la parola o la frase non è grammaticalmente corretta o è una forma ricostruita teoricamente ma non attestata.

Le virgolette possono essere alte (” “), basse o sergenti (« »), semplici o apici (‘ ‘). Alte e basse si usano indifferentemente per circoscrivere un discorso diretto o per le citazioni. Possono anche essere usate per prendere le distanze dalle parole che si stanno usando (e nel parlato si dice infatti «tra virgolette»). Possono essere sostituite spesso con il corsivo, che si usa per parole straniere o dialettali usate in un testo italiano e in citazioni brevi. Le virgolette semplici si adoperano più raramente soprattutto per indicare il significato di una parola o di una frase. In generale, sulla stampa la scelta delle virgolette è fortemente determinata dalle singole regole editoriali.

Le parentesi tonde si usano per gli incisi, in concorrenza con virgole e trattino lungo. Le parentesi quadre servono, ma assai raramente, per segnalare un inciso dentro un altro inciso composto con tonde (quindi al contrario di quanto avviene in matematica le parentesi quadre sono dentro le tonde) oppure racchiudono tre puntini di sospensione per segnalare, come già detto, un’omissione.

Infine, una raccomandazione sull’incontro tra diversi segni di punteggiatura: eventuali punti esclamativi o interrogativi vanno posti prima del segno di chiusura di parentesi, virgolette o trattino lungo (Con te non parlerò mai più! –  urlò fuggendo per le scale), gli altri segni vanno posti dopo la parentesi chiusa:non vi parlerò a vuoto (se avrete la grazia di ascoltarmi), ma vi porterò prove tangibili della mia innocenza. Per le virgolette e il trattino la posizione degli altri segni interpuntivi è meno rigida e può dipendere ancora una volta da singole scelte editoriali. Sul valore di una punteggiatura ben scelta si può concludere citando G. Leopardi, che scriveva nel 1820 a Pietro Giordani: “Io per me, sapendo che la chiarezza è il primo debito dello scrittore, non ho mai lodata l’avarizia de’ segni, e vedo che spesse volte una sola virgola ben messa, dà luce a tutt’un periodo. Oltre che il tedio e la stanchezza del povero lettore che si sfiata a ogni pagina, quando anche non penasse a capire, nuoce ai più begli effetti di qualunque scrittura”.

comunicazione preventiva

Come spiegare la proposta del Governo Monti di togliere 200 milioni alle Università e dare 200 milioni alle scuole private?  Il Ministero ha ironizzato (pelosamente) dicendo che le due cose non sono in relazione tra loro. Una mossa del genere, dato il Governo è stato messo su dalle banche e non dalla cei, sembra essere un tentativo di dire: “noi ci abbiamo provato”. Ci saranno proteste e i fondi alle scuole private saranno diminuiti o stornati alle Università private (che sempre un tipo di “scuola” sono). Non vengono forse i nostri ministri da Università private come la Bocconi, dove i docenti sono pagati con fondi pubblici?

Il problema è che gli annunci di una manovra costituiscono un tipo di comunicazione, o almeno così uno si immagina i discorsi di chi presenta il progetto: vediamo un po’ cosa risponde l’opinione pubblica e rispondiamo con il piano B, che è il piano vero preparato prima. Se poi non si accorgono di niente, tanto meglio: tutto regalato

[P.S. scritto il 5 e caricato oggi; oggi alcuni giornali dicono che il taglio di 200 milioni è stato tagliato; pare resti un fondo per le università private:)]

 

parlare in pubblico

Supendi consigli di Paolo Rossi al conferenziere inesperto!

Mancano solo tre  cose (tenendo presente che quanto dice sul leggere i classici vale anche se si leggono sulle slide di powerpoint):

(1) non scrivere slide di Power Point troppo fitte

(2) non scrivere slide con punti inferiori a 18 punti (ma meglio almeno 24 punti)

(3) non mettere una slide parlando d’altro. Quello che è sulla slide va LETTO e POI  commentanto.

(se “parlate” e “mostrate” assieme l’uditore tenderà a leggere la slide e non ascoltare quello che dite)

 

merito

MERITO =def.   “diritto alla lode e alla stima acquisito con il proprio comportamento”

OK; ma se la lode e la stima vengono da persone il cui livello di intelligenza delle cose umane è tale da valutare solo l’interesse, l’amicizia e la fiducia? Avrà merito che ti potrà aiutare a fare i tuoi interessi, perché il suo comportamento di leccapiedi (specie se non te ne rendi conto) gli  porterà diritto alla lode e alla stima. Un po’ di cinismo, suvvia!

In un bellissimo ventirighe Galletta ricorda le verità di questo paese: “Il delitto perfetto della criminalità grande, piccola e media si compie nel momento in cui la venefica rassegnazione del “così fan tutti” prevale.Quando arretra il desiderio di lottare, la capacità di non stare al gioco, anche quando la resistenza sembra disperata. La logica devastante dell’intrallazzo, il cinismo del faccendiere che. troppo spesso, diventa il modello vincente dell’uomo d’affari, con i suoi miserabili gadget tecnologici e umani, sembrano prevalere appestando la convivenza civile.”

All’università stiamo assistendo al delitto perfetto. Si usa la parola “merito”, si creano stupende macchine burocratiche, concorsi aperti e limpidi in modo ineccepibile, ma… guarda caso l’Università si riempie di persone incompetenti a tutti i livelli (amministrativo e docente) e i migliori vanno a trovare lavoro all’estero. Le eccezioni pare confermino la regola. Ci ringrazia la Francia che ha almeno il 2% di ricercatori italiani al CNRS. Quanti ricercatori francesi si trovano al CNR italiano?

scuola pubblica

Da due anni gira su blog, e-mail, quotidiani e altre fonti di informazione un vecchio discorso di Calamandrei; riproporlo non fa mai male…

Piero Calamandrei, 1889-1956, è stato un giurista, avvocato, professore universitario di diritto processuale civile, e membro dell’Assemblea Costituente, (e anche parlamentare)

” (…)
Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.
Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di stato per dare la prevalenza alle scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere.
Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.(…)”
[discorso al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale (Adsn);  Roma, 11 febbraio 1950]

Calamandrei era certo preveggente, ma non poteva prevedere tutto e forse non riusciva a immaginare le nuove forme di competizione come le università  telematiche alla CEPU [diretto da Francesco Polidori e composto da un corpo docente che comprende – pare –  Marcello Dell’Utri, Ubaldo Livolsi, Vittorio Sgarbi] che vengono foraggiate con fondi pubblici mentre l’Università statale sta crollando sotto il peso di tagli progressivi [le chiacchiere tra studenti o i vari blog sugli e-campus aiutano a capire forse più che i dati ufficiali; si noti che le informazioni del CEPU non sono on-line, ma vengono fornite solo via e-mail a chi le richiede; più “privato” di così…].  Forse noi stessi non abbiamo fantasia sufficiente per capire quello che sta accadendo sotto i nostri occhi.

Eppure l’Università pubblica italiana – su cui tanto si fa per metterla in cattiva luce al pubblico – non funziona per nulla male rispetto alle altre Università del mondo – SE si tiene conto del rapporto tra spesa pubblica per l’Università e ricchezza della nazione. Vedi il seguente powerpoint (con slideshare). Altri dati elencati qui.

King’s College, London

Era ed è ancora una delle istituzioni chiave dell’accademia a Londra…ma i tagli del governo hanno portato a ristrutturazioni il cui senso è difficile da cogliere, e – inaudito in Gran Bretagna! – sciopero al King’s college!

Molte lettere sono state spedite, e il punto è: con quali criteri si decide di tagliare proprio le persone il cui livello di qualità accademico e di ricerca è ai massimi livelli?

La protesta montata a livello mondiale mostra quanto oggi la comunità accademica sia unita e cerchi di reagire a decisioni che sanno di ristrutturazioni aziendali fatte superficialmente su prospettive industriali, dove lo sviluppo della cultura umanistica rischia di diventare l’ultima preoccupazione.

Preoccupa però che proprio da una istituzione storica come il King’s vengano segnali di questo tipo! Per contrasto, nello stesso giorno dell’annunciato sciopero al Kings’ di Londra, il King’s college di Cambridge presenta una mostra sul gruppo Bloomsbury, che ha rivoluzionato la cultura umanistica e letteraria.

università e spesa pubblica

L’università pubblica non ce la fa a reggere i tagli continui della nazione che ha il minor rapporto percentuale di spesa per la ricerca (e gran parte di questo non va all’Uiversità, ma a Regioni e Industrie). Le nostre tasse vengono spese per opere di grande rilievo (ultima delle quali le opere per il G8 in Sardegna per cui, se non erro, i contribuenti hanno versato quasi 400 ml di euro (che sono andati ovviamente a chi aveva in appalto i lavori). Nel frattempo l’Università di Siena ha dovuto vendere Palazzo San Nicolò, che ospitava Lettere e filosofia, per circa 70 ml. di euro. Non c’è qualcosa di folle in quanto accade nello sviluppo delle istituzioni italiane?

I rettori italiani, in mezzo allo spreco generalizzato di denaro pubblica, cercano soluzioni di risparmio; In Spagna, all’Università di Santiago di Compostela, si consolano citando giornali italiani sul rischio di bancarotta delle Università italiane. Che fare? Ci ridurremo a chiedere una piccolissima percentuale di una delle numerose voci di spesa per i mezzi militari?  SI pensi alla nuova portaerei Cavour – di cui si sentiva la mancanza – alle fregate FREMM (5.680 milioni di euro) al cacciabombardiere Joint Srike Fighter (13 miliardi di euro). Qui sì che non si deve badare a spese: è questione della sicurezza nazionale di una nazione insicura solo della sopravvivenza della sua cultura.
– Il primo a chiedere la diminuzione delle spese militari nel 2010 è stato il Papa.
– Altri, più modestamente, rilevano che per le spese militari l’Italia spenderà in armamenti e missioni nel 2010 più di 20 miliardi di euro. Vogliamo LaRussa all’istruzione e la Gelmini alla difesa?