il vero scontro di civiltà: quali videogiochi

Fukuyama vedeva nel modello occidentale la fine dello scontro di civiltà e una globalizzazione guidata dalle democrazie occidentali. Huntington vede lo scontro di civiltà non più sul versante politico-ideologico, ma culturale. Se Fukuyama ha in parte ragione e in parte torto, Huntington ha torto marcio. Scontro tra chi? Cristiani contro musulmani? Cristiani e ebrei contro buddisti e confuciani? Induisti contro animisti? Lo scontro di civiltà avviene nei paesi occidentali  tra chi vuol salvaguardare la tradizione democratica e chi sceglie il fondamentalismo. Quanto è avvenuto in Norvegia non è solo il segno di follia, ma una mistura micidiale di tecnologia, giochi da ragazzini, e misture xenofobe che animano  le forme estreme di  fondamentalismo  da tea-party, lega, neonazisti.  Lo scontro dunque è tra fondamentalismo e anti-fondamentalismo. Qui i fondamentalisti cristiani sono molto più simili ai fondamentalisti musulmani che tutto il resto della civiltà occidentale; qualcosa di analogo si ha nei paesi musulmani. Occorrerebbe chiedersi come mai le democrazie occidentali si avvicinano sempre più alle repubbliche “delle banane” per l’abisso che si sta creando tra ricchi e poveri? Lo scontro tra fondamentalisti e anti-fondamentalisti è una faccia di uno scontro tra poteri finanziari. Conseguenze: i ricchi che portano in jet i loro figli in vacanze esotiche con la loro corte da castellani, e fuori dal cartello i nuovi servi della gleba (tra cui abbondanti “microservi”)

“No one has explained or can explain how this guy’s supposed anti-jihad views have anything to do with his murdering children,” dice R. SPencer (Jihad Watch) citato da Garton Ash. Ma se segui una strada fondamentalista è facile: uccidi il nemico, dovunque si trovi, come insegnano i videogiochi. E che il mondo sia diviso in amici e nemici è la lezione del fondamentalismo. Tea Party insegna.

P.S. qualcosa del genere, ma detto molto meglio, viene detto in un pezzo di Tarak Barkawi (Univ. Cambridge)

barzellette

“Though ultimately decided by personal taste, the extent to which an individual will find something humorous depends upon a host of variables, including geographical location,culturematurity, level of educationintelligence and context.”
[da Wikipedia: voce “humor”]
La quantità di “implicito” apportato da una barzelletta è enorme. Cosa viene trovato “spiritoso” dipende dalla cultura e dal gusto che questa genera. Per questo alcuni tipi di barzellette che facevano forse ridere generazioni precedenti o alcuni ceti sociali subalterni o magari certi maschi abituati a frequentare solo altri maschi non fanno ridere più (se non persone che ancora vivono in un mondo arcaico, maschilista, un po’ retro, facilone e grossolano, escluso dalla complessità del web, dalla pluralità di punti di vista; insomma alcune barzellette sono segno di una cultura vecchia, volgare e spesso insopportabile ai più).

Stereotipi

Non potremmo vivere senza stereotipi. Lo stereotipo di un bar ci aiuta a non perderci in bar diversi dal solito, ma sempre entro uno stereotipo. Il problema è quando certi stereotipi diventano “minacciosi” per l’oggetto dello stereotipo. Come difendersi dalle minacce? Come combattere gli stereotipi minacciosi e trasformarli in altri stereotipi più innocui, quando possibile, o semplicemente eliminarli o farne a meno? Ma è possibile fare a meno di stereotipi? La risposta stereotipica è: ovviamente no. Però alcuni stereotipi forse sono costruzioni ridondanti, basati su dati troppo parziali e falsi. Per questo c’è:

http://www.reducingstereotypethreat.org/

livelli di implicito nelle “barzellette”

Molti si sono scandalizzati e hanno commentato nell’ascoltare la “barzelletta” del presidente del Consiglio su Rosy Bindi con l’accostamento “orchidea/orcodio!”.   Facile dire cosa è implicito e cosa esplicito qui! Esplicito: accostamento lessicale scoordinato. Implicito: disprezzo del genere femminile e buffo maschilismo da caserma.
Passando dall’analisi del linguaggio all’analisi sociologica:  il token di barzelletta riportato appartiene al tipo di  battute della scuola  media inferiore, quando ragazzi e ragazze imparano  che superficiali somiglianze fonetiche di parole nascondono  funzioni imprevedibilmente del tutto differenti (un nome e una imprecazione). Ovvio che a scuola, si sa, si sente di tutto, anche le cose più sceme. Quindi  il significato “sociologico” implicito dell’evento di cui si parla forse è: “torniamo a scuola!”.
E’  un suggerimento per i parlamentari che stanno ancora ridendo (la barzelletta circolava in parlamento da mesi); una volta terminata la scuola media, andranno al liceo e poi faranno una riforma dell’università. Tempo 8 anni. Di una buona riforma dell’Università c’è infatti bisogno, e non di una riforma che assomigli a una barzelletta. Per quelle ci sono gli specialisti nel raccontarle e siti che ne raccolgono centinaia anche a voce, e del livello tipico di cui si parla. Una buona battuta (e sono rare) è una buona battuta se detta al posto giusto, nel momento giusto, con le persone giuste e nel modo giusto. Non basta il modo giusto se il posto è sbagliato, le persone sbagliate e il momento sbagliato.
NB: Il codice della vita italiana (1921) di  Prezzolini inizia con i seguenti articoli:
“1. I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi.
2. Non c’è una definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto intero in ferrovia; non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente sulla magistratura, nella pubblica istruzione ecc.; non è massone o gesuita; dichiara all’agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci eccetera: questi è un fesso” (da un breve saggio [.doc] di A. Massarenti)

relativismo o universalismo? emozioni

oggi si usano le parole un po’ “a casaccio”; per esempio “relativismo” spesso significa nella bocca di alcuni “esistono delle differenze tra gli uomini che vanno rispettate” e nella bocca di altri “la negazione dei valori cristiani”. Di norma “relativismo” non significa né la prima né la seconda cosa, e il libretto di Marconi “Per la Verità” (Einaudi) aiuta a districarsi nel caos creato dal cattivo uso della lingua. Un aiuto a capire che esistono aspetti universali comuni a tutti gli umani viene dallo UCL, con uno studio comparato delle espressioni emotive di umani britannici e himba.

A sinistra una umana himba e accanto una umana britannica che ridono; il punto non è che entrambe hanno simili espressioni facciali, ma che queste espressioni facciali vengono riconosciute in entrambi i gruppi sociali (i britannici e gli himba): l’uno riconosce il riso nell’altro. I “relativisti” direbbero che l’altro cè e dobbiamo farcene una ragione; gli universalisti che tutti gli umani hanno tratti comuni.

L’aspetto originale della ricerca è che pare che tutti riconoscano facilmente nell’altro gruppo le espressioni di emozioni negative, mentre le espressioni di emozioni positive sono legate più facilmente a modi idiosincratici dei singoli gruppi.  Ma è facile da capire; ci divertiamo a inventare nuove emozioni positive condivise da piccoli gruppi che le vogliono tenere per sé (un po’ come i linguaggi famigliari alla Natalia Ginzburg del “baco del calo del malo”) . Qui le differenze diventano invenzioni della cultura, ma sulle emozioni “base” non si scherza. Gli umani tutti le condividono (anche se non sempre le provano).

terra e razza

terraerazza Italia del Nord: “la terra e la razza sono inscindibili:

attraverso la terra si fa la storia della razza

e la razza domina e sviluppa e feconda la terra”

Sembra di sentir parlare Heidegger nella sua prolusione rettorale

(L’autoaffermazione dell’Università tedesca, Il Melangolo)

… qualcuno ci crede ancora ….

razze, etnie, popolazioni

Ci sono le  razze canine, perché non si parla tanto di razze umane? Probabimente non solo perché il termine “razza” è stato usato a sproposito, ma perché, al contrario dei “pedigree” che caratterizzano la razza canina “pura” – gli umani sono quasi tutti “bastardi”, cioé hanno una alta tendenza a mescolare le carte. Il Brasile insegna, così come l’Italia dal periodo  preromano a dopo le invasioni barbariche (vedi post precedente). Altro motivo è la difficoltà di distinguere chiaramente diverse razze umane, anche se tratti somatici e abitudini dovrebbero aiutare a caratterizzare almeno un’etnia o una popolazione (vedi i problemi di classificazione degli umani in wiki).  Facciamo un esempio di cui si è tanto parlato e scritto recentemente:

“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Molti puzzano perché tengono lo stesso vestito per settimane. Si costruiscono baracche nelle periferie. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Parlano lingue incomprensibili, forse antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina; spesso davanti alle chiese donne e uomini anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano sia perché poco attraenti e selvatici sia perché è voce diffusa di stupri consumati quando le donne tornano dal lavoro. I governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o attività criminali.”

Questa definizione caratterizzava la “razza” o “etnia” italiana nel resoconto  dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli italiani: razza o etnia? Quanti si riconoscono in questa caratterizzazione? Quanti hanno la “pelle scura”? E’ davvero tipica degli italiani (“italians”)? E’ sufficiente a caratterizzare una razza? Facendo l’analisi del DNA si riesce a ritrovare dati sufficienti a distinguere  gli italiani dalle altre razze o almeno dai primati?

La paleoantropologia tende a parlare dell‘ipotesi di una origine unica della razza umana (Est Africa). La ricerca genetica vede  tra gli umani variazioni molto più limitate che tra altri gruppi animali (e la variazione è spesso intra-gruppo; molto forti le differenziazioni tra i gruppi africani). Il solo tentativo di studiare il DNA di una etnia è stato fatto per gli islandesi. Ovviamente la ricerca ha sollevato molte questioni etiche, ma nessuno ha parlato di razza islandese, bensì di “popolazione”. Ed è questa la tendenza degli antropologi, anche se resta aperto il dibattito se “razza” sia un termine sensato per parlare di diversi gruppi umani. La classificazione razziale per gli umani deriva dal 1400 con l’incontro di navigatori spagnoli e portoghesi con i “neri”. Non esisteva prma, nemmeno nel periodo dell’Impero romano, che – saggiamente – preferiva classificazioni più specifiche di etnie e popolazioni (i nubiani, i cartaginesi, ecc.).

US: quando ti fanno la social security o permesso di lavoro devi dichiarare se sei “bianco”, “latino”, “nero”, “asiatico” e forse, ma non mi ricordo “nativo americano”.  A cosa serve non è del tutto chiaro. Di certo non si parla di “razze”; sono caratterizzazioni pragmatiche  e “latino” non vuol dire di origini dei paesi latini, ma di origini sudamericane. Non c’è spazio per indios, a meno che si mettano tra i “native americans” – probabilmente in modo erroneo perché “Native American” vuol dire nativo delle terre degli Stati Uniti di America e non delle Americhe. I statunitensi sono tra i pochi a non avere un termine per “statunitense”; hanno solo “US citizen”: civis romanus sum.

italia multietnica

Voglio scrivere alcune banalità grossolane e approssimate così ovvie che mi vergogno un po’. Ma si perde sempre più spesso  il significato delle parole a causa dei varii  Humpty Dumpty che vogliono usare le parole a modo loro (vedi: citazione da Alice nel Paese delle Meraviglie). Occorre invece avere una gran cura delle parole e dei loro significati condivisi. La televisione amplifica alcune deformazioni grottesche dei significati, ma questo può accadere per una cinquantina di milioni di persone; le parole esprimono concetti che sono comuni non solo a una specifica lingua e nazione, ma sono un tesoro comune dell’umanità, alla cui definizione concorrono gli esperti (in questo caso gli antropologi).
Cosa è un gruppo etnico? Un gruppo etnico è un insieme di individui caratterizzati da un ramo genealogico comune, un’origine comune,  tratti somatici grossomodo analoghi legati all’adattamento al territorio, ed infine – spesso – cultura, lingua e religione comune.  Molti antropologi criticano le  costruzioni “fantasiose” di etnicità presunte, e lo stesso concetto di “etnia” è davvero vago.  Ma credo si possa dire senza ombra di dubbio che  l’Italia è un paese multietnico, da sempre. Ecco un promemoria:

Una delle più antiche etnie della penisola italica è quella dei Liguri, di cui si ha traccia da circa 25.000 anni fa. L’etnia ligure è divisa in varie tribù come Ambroni, Apuani, Tigulli, Genuati, Sabazi, Ingauni e tante altre. I Greci chiamavano i liguri “Tyrrenoi”, cioé “pirati”, e questo tratto culturale gossomodo li caratterizza ancora. Due altre etnie -i Celti nel V-IV secolo a. C. e i Romani nel III-II secolo a.C. –  costrinsero i Liguri ad abbandonare la Pianura Padana e parte dela attuale Toscana per arroccarsi attorno tra appennini e il mare ora detto ancora “ligure”.  Il  carattere un po’ incarognito dei Liguri fece  fallire un’alleanza con i Galli Boi che avrebbe permesso di resistere meglio all’espansione romana. Si allearono in seguito   con Annibale e Asdrubale, ma andò  male, come è notorio. Per questo la capitale d’Italia è Roma, e non Genova.

I bellicosi Galli Boi ebbero contrasti con un’altra potente etnia abitante la penisola: gli Etruschi. La litigiosità degli attuali discendenti degli etruschi – noti come “maledetti toscani” da una dicitura del Lombardo Montanelli –  potrebbe anche essere una deriva di matrimoni tra etnie così litigiose. Degli Etruschi si è detto tutto e il contrario di tutto: che vengono da antichi popoli un tempo abitanti la Sardegna e spostatisi in seguito a fenomeni naturali, ecc. ecc. Di certo sono una etnia così caratterizzata da dare origine a capacità intellettuali tali da tentare di sottomettere tutti, almeno attraverso l’imposizione linguistica (Dante Alighieri)

I Romani peraltro non possono nemmeno chiamare un’etnia essendo di per sè un popolo multi-etnico: non solo per il ratto delle Sabine (qualcuno potrebbe sostenere che Romani e Sabini sono popolazioni diverse della stessa  etnia), ma per la presenza e diffusione di varie etnie nella Roma antica. Un solo esempio: la componente siriana è sempre stata forte a Roma come dimostra ad esempio il fatto che Settimio Severo avesse come moglie la siriana Giulia Domma e che  il siriano Eliogabalo potè salire al trono (per l’editto di Caracalla che dava cittadinanza romana anche ai “provinciali”). Ovviamente molti siriani si inserirono nelle leve del potere, dando un contributo levantino alla già consolidata astuzia romana, che perdura ai giorni nostri, con tutte le sottospecie etniche caratteristiche degli intrecci del passato.

Anche i famosi Celti da cui pensano o almeno immaginano di discendere i varii signori Bossi della Val Brembana sono per certi aspetti un gruppo  multi-etnico, o forse è meglio dire che con il nome di “Celti” si usa spesso indicare etnie diverse: ci si riferisce di fatto ai discendenti dei Galli (che Celti lo erano davvero) ma anche di Germani, Normanni e Galizi, che Celti non erano. Ora è ovvio che, date le invasioni barbariche, nella val Padana e valli affini gli abitanti derivano non certo da una unica né preponderante etnia celta, ma una mistura di etnie (senza dimenticare i Romani e i Liguri).

E ho parlato solo di alcuni pezzettini di questa disgraziata penisola, che è stata esposta a ogni tipo di invasione e immigrazione da terra e da mare. L’Italia è multietnica da sempre. Basta guardare le diversità degli italiani:
– il colore della pelle dal bianco “slavato” al rosso “abbronzato” naturale;
– la struttura corporea dal basso tondetto al lungo allampanato;
– il colore dei capelli dal nero corvino al biondo paglia;
– lingue: basti pensare alle diversità di  genovesenapoletanosicilianowalser, e così via.
– culture: che caratterizzano fortemente le diversità regionali e gli strati sociali.

Parte di questa diversità somatica apparente dovuta al  consolidato “melting pot”  delle varie etnie delle genti italiche è ben rappresentata dal nostri  parlamentari, vero specchio di un’Italia etnicamente composita. Non oso raffigurarli  qui (sarebbe troppo facile), ma sia l’arte che i siti interent di “facce italiane”  aiutano a dare un’idea:

ermellino montefeltro bruna bionda ecc. ecc.

Cosa rende italiano un italiano? Sei cose direi:

(1) la cittadinanza legale, che funziona ancora, ma non caratterizza un’etnia.
(2) la lingua italiana, parlata sempre peggio da quasi tutti. Ma neanch’essa basta a costituire un’etnia: vi sono italiani neri e gialli il cui italiano è molto migliore di italiani bianchicci o rossastri.
(3) una minima conoscenza della storia della Nazione, ma questo escluderebbe milioni di persone; dovremmo sostituire alla conoscenza della storia  la condivisione di sterotipi che oggi guidano l’Italia e che derivano dalla televisione. Molti italiani non si riconoscono in questi stereotipi (escluderemmo ad es. quelli che non amano il calcio, anche sicuramente sono  meno di quelli che non conoscono la storia). Il punto (3) è quindi provvisoriamente sospeso.
(4) L’appartenenza all’Europa, che è stata realizzata con grane fatica, ma di cui tutti vanno fieri.
(5) L’appartenenza al bacino del mediterraneo che rende l’Italia la più africana e araba delle nazioni Europee.
(6) Un sentire comune?  Il  Presidente della Repubblica cerca disperatamente di costruire questo sentire, proprio perché un sentire comune manca specialmente dove manca un’etnia comune.

La multietnicità dll’Italia è un dato di fatto. Siamo sempre stati, siamo attualmente, e sicuramente saremo ancora di più in futuro una nazione multietnica. Il resto sono chiacchere.